Tutti le vedono ma nessuno sa chi sono.
Barriera Bixio, Parma.
Restauro delle sculture e delle porzioni lapidee.
Direzione dei Lavori per conto della Restauratrice Alessandra D’Elia.
La restauratrice Alessandra D’Elia mi ha chiamato per la direzione dei lavori, ho accettato molto volentieri, però nemmeno io le conoscevo. Da bambino pensavo che una di loro fosse la signora Morte, tanto era nera di smog …
Tutte le volte che da piccolo ci capitavo sotto e mia nonna si accorgeva che mi prendevano gli occhi diceva, Sai quei quattro lì quante cose han visto passargli tra i piedi? Perfino la guerra. E io me li immaginavo lì in alto, vestiti leggeri, sopra la gente diventata soldati e sotto le bombe che fanno tremare più dell’inverno, così in alto da riuscire a sbirciare fin dietro le barricate, ma soprattutto sapevo che chi vede la guerra mangia tutto, lascia il piatto pulito, e anche i chicchi di riso li raccoglie uno a uno, tra la forchetta e il dito. E poi pensavo che dovevano essere fragili ma importanti, perché stavano solo un po’ più in basso della Madonna che appare negli ex voto, su quella nuvola bianca appena sopra la terra, ma per il resto anche loro si stagliavano in cielo e gli si posavano in testa i piccioni come angeli pennuti. Con il passare del tempo gli avevo dato anche un nome, la donna scura col drappeggio annerito dai gas di scarico e la clava era diventata la signora Morte, signora serviva per addomesticarla, non farla offendere; che per un po’ di anni è anche rimasta senza testa e poi, negli anni ottanta, è ricomparsa. L’uomo con l’anfora in mano, che a passarci dietro si vede la schiena nuda fin quasi al sedere da sembrare uno appena uscito dall’acqua con l’accappatoio, era il Nuotatore e l’altro, dalla barba più folta e la tavolozza che somiglia a un manifesto, Buffalo Bill.
Sì perché avevo letto che nel 1906 era arrivato a Parma il famoso cow-boy col suo circo e visto che quella era una porta d’ingresso della città, coi suoi cavalli, i bisonti, gli indiani, Buffalo Bill avrebbe potuto benissimo passare da lì, sotto lo sguardo impassibile dei quattro vestiti leggeri. L’ultima donna, quella più vicina alle Tramvie, era la Paziente, come ammalata dal braccio rotto che aspetta la visita in via Pintor, e perché la vedevo seduta in un’infinita attesa del tram per il mare. Non potevo sapere che era stata scolpita in quella Parma di metà Ottocento, sotto Maria Luigia, che doveva ancora diventare Italia e si dava arie da piccola capitale, dove erano appena nati i collegamenti con Milano, Bologna e se ne stava studiando uno proprio per La Spezia, il mare. Lì c’era un bastione farnesiano, spianato e riutilizzato mattone su mattone per costruire case, su cui avrebbe dovuto sorgere una nuova porta o una barriera dedicata a Vittorio Emanuele, il re. Il progetto, dopo un concorso all’italiana, l’avevano affidato al capitano di artiglieria Angelo Angelucci su raccomandazione del conte, ex sindaco di Parma e presidente onorario dell’Accademia, Luigi Sanvitale che con una lettera d’accompagnamento arrotolava le parole: Signore, il capitano nell’artiglieria dell’Emilia, sig. Angelo Angelucci, presenta per mezzo mio alla nostra giunta municipale un lavoro suo, qui unito, insieme colle spiegazioni di quanto è nel desiderio di lui. Il desiderio di lui, l’Angelucci, era di realizzare un monumento pieno di statue dal carattere né grave come quello classico, né troppo licenzioso ma sobrio sull’esempio di quelli rinascimentali, al cui centro avrebbe dovuto stare Vittorio Emanuele e una donna, la signora Italia. Un’opera costosa, ben centosessantamilalire, complessa e soprattutto lunga; ma quegli anni la storia non aspettava nessuno e continuava a correre, rotolare e cambiare. Dopo sconfitte, delusioni, ripensamenti e il magone di Parma che chiedeva allo specchio se fosse la più bella del reame e si sentiva dire che era solo un semplice capoluogo di provincia, intuito che il monumento al re si stava allontanando, le uniche quattro statue della barriera, le sopravvissute, avrebbero almeno dovuto far pensare a lui, alle sue virtù. Per questo Michele Lopez e Amadio Ronchini proposero che al posto della rappresentazione degli stati Piemonte, Lombardia, Toscana, Emilia, ci fosse la personificazione di Lealtà, Fortezza, Perseveranza e Vittoria, virtù degne di un re. Ma gli accademici, fiutato il nuovo vento, chiesero di sostituire Perseveranza e Vittoria con Plebiscito e Statuto, che va bene monarchia ma almeno costituzionale. Lo scultore Cristoforo Marzaroli, prima che qualcun altro potesse cambiare ancora idea, realizzerà le statue e la barriera sarà inaugurata in occasione dell’annessione di Venezia e Mantova il dì 4 Novembre 1866. Più in là nel tempo, quasi a fine ottocento, col nuovo assetto risorgimentale, sarà ridedicata a Nino Bixio, quello che i parmigiani chiamano ancora Bissio, un po’ come a Reggio i William li chiamano Villiam ma a continuarla sarebbe una storia lunga. Comunque proprio da lì sotto, sotto a loro quattro fermi immobili, dove ci passavo con mia nonna, sono passati dalla carrozza al carro armato, dal cavallo al trattore, dal tram al ciao; e poi hanno sfilato pecore, soldati e lavandaie, guardie e piene del fiume, banditi, studenti, impiegati e passeggini. Hanno visto soldi girare di mano in mano; quelli del dazio, dei mediatori, dei contrabbandieri, di prostitute che scendevano dai monti e spacciatori in bicicletta. Hanno visto di tutto i signori vestiti leggeri, e col tempo sono diventati scuri, quasi neri. Ma è stato poco a poco, che il diventare neri per il fumo, lo smog, i gas di scarico, non si diventa subito; loro agli inizi erano chiari, di quella pietra di Vicenza fragile, un’arenaria che appena riesce fa apposta a ritornare sabbia.
Così nel tempo le statue hanno perduto un braccio, un pezzo di naso, due, tre, quattro, sette dita, i riccioli dei capelli come i vecchi e pezzi dei vestiti già leggeri. Due uomini e due donne, gli uomini al centro, le donne defilate, ogni statua con due leoni al fianco, buoni e tranquilli, accucciati ai piedi da sembrare obbedienti ma con la bocca aperta e messi bene in vista i denti, come a dire ricordatevi che siamo pur sempre leoni. Anche da lì si capisce che c’era una porta, dai leoni; che in genere i leoni, proprio come i faccioni in arenaria sui portali, fanno la guardia e proteggono gli ingressi, si vedono anche nei battacchi o le maniglie, si vedono davanti al duomo. Oltre ai leoni c’era dell’altra gente, figure umane, putti con una testa enorme come quei bambini che da piccoli prendevano il male della forchetta e diventavano testoni, le gambe piccole e la testa enorme. Loro non sa quasi nessuno bene chi sono; parlo di Buffalo Bill, la signora Morte, la Paziente e il Nuotatore; ci arrivi non tanto per vederli apposta ma se sei fermo nel traffico lì in coda ad aspettare il turno per passare, è il loro destino, essere sempre al centro di mezzi in movimento, santi patrono dei mezzi di trasporto; eppure dovevano davvero essere importanti, non tanto perché si stagliano in cielo come la Madonna negli ex voto ma perché erano le prime figure che uno vedeva nell’entrare a Parma, chi entrava da porta san Francesco, loro eran lì fermi a dargli il benvenuto. E poi, a guardarli bene, hanno anche particolari interessanti; l’urna, la tavolozza, e soprattutto la clava che ha in mano la Fortezza come il folletto Mazapegolo e l’uomo selvatico; quella clava manganello che ha Arlecchino. È un simbolo strano, particolare, che se qui rappresenta la forza, riporta alla mente figure ambigue della tradizione orale, portatrici di clava o mazzuolo, che frequentano il mondo dei morti e traghettano le anime. Non era poi così azzardata la signora Morte. Alessandra D’Elia, e tanti altri ad aiutarla, a un certo punto col freddo di Novembre, si sono aggrappati al cielo per provare a restaurarle, chiamati dal Comune. Si sono piazzati là, con ponteggi alti quanto le nuvole della Madonna degli ex voto, a fare un piccolo miracolo; convincere l’arenaria a rimanere statua ancora per un po’. Una volta convinta li hanno come lavati, proprio come le guaritrici che lavano via l’ombra e la paura, loro gli han tolto il nero, li han fatti ritornare bianchi pietra fragile di Vicenza, proprio come quando hanno ripulito il Battistero. Che il restauro, la prima cosa che fa vedere è che le cose col tempo diventano scure, siamo noi uomini e qualche animale che più passa il tempo più diventiamo bianchi; per gli oggetti, le strutture e i monumenti è il contrario, per loro il passare del tempo si tinge di nero. Adesso a fermarmi sotto in coda o mentre giro nella rotonda li guardo con la coda dell’occhio e anche se ora conosco la loro storia e a chiamarli con il nome vero non ci riesco perché è talmente pieno da ingolfarsi in bocca, anche se diventano d’un bianco forte che accieca quando il sole li prende di striscio, per me sono rimasti quelli che, vestiti leggeri, hanno visto la guerra e non sprecano niente, lasciano il piatto pulito, quelli che raccolgono anche i chicchi di riso con il dito.
Mario Ferraguti e Paolo Montanari