Il demone dell’edilizia
Costa di Castrignano, Langhirano, Parma
Restauro conservativo di una casa torre
(Racconto di fantasia del progetto e dei lavori).
Il lavoro della casa del Dottore è stato un’impresa epica.
Intanto era uno dei miei primi lavori e poi quella casa, in alto nella frazione di Costa di Castrignano, all’interno dell’abitato di Castrum Regnani, incastellamento medievale, e forse romano, o ancora antecedente ai tempi delle terramare.
Da lì il Palazzo del Vescovo a Langhirano era visibile (in realtà lo è ancora oggi ma si nasconde fra i prosciuttifici) ma dominava su tutti i possedimenti la Chiesa di Castrignano con il suo potente castello.
La casa era messa malissimo, il muro di sostegno che la precede ancora peggio, praticamente crollato. Il tutto peggiorato da un intervento di ristrutturazione di qualche anno prima, abbandonato per la stupidità e la cattiveria dell’ignoranza che era evidente anche ai suoi vecchi proprietari. Per noi però è stato un luogo del quale innamorarsi a prima vista. Con le sue pietre e i suoi ambienti strani, la torre, il pendio ed i vicini di casa ancor più strani: la signora Ermelinda Tarantola di sopra, con il suo ferro del 12 piegato a mò di bastone “guardi dottore che l’acqua va in giù” gridava in seguito ad una discussione con il Dottore sui confini ... e lui da sotto … “e il fuoco però va in su!!!!”. O la vicina in basso … che viveva d’estate nella casa torre a Castrigano e d’inverno nella casa torre a Parma in via D’Azeglio, di fianco al cinema. E la vecchia Wanda della trattoria, che puliva l’insalata tutte le mattine nella fontana, con i nipoti più rozzi e zotici della provincia ma con i tortelli d’erbetta squisiti. La nipote della Wanda, la Michela, “la Michela ed Castergnan”, era famosa sino a Montechiarugolo e a Torrechiara … la più rossa e bella del paese. O il fornaio Giorgio, che fa le micche buone come una torta e non riesci a portarle a casa perché te le mangi tutte prima in macchina, mentre scendi a valle, e sua moglie, con un culo da far provincia, che lo chiama “il povor Giorgio … al g’ha il lan d’cor…”.
Ma tutte quelle case e quelle pietre, l’odore di camino e la neve, ci hanno conquistato. Prima con Gioacchino e dopo con Marcello, abbiamo smontato tre muri, siamo andati a prendere le pietre alla cava abbandonata di Calestano, quella che adesso serve per cuocere i sassi e fare il cemento. Il prof. Grimoldi, di restauro al Politecnico, diceva che le pietre della Baganza e della Parma, quelle bianche, sono le migliori per fare la calce. Le cuoci e ottieni una calce fina e perfetta, per quello che i Farnese facevano le case ed i palazzi così belli come l’Aranciaia e la Veneria Reale a Colorno. A noi servivano di quel colore perché le cave adesso sono tutte in Val Taro ma la pietra li è grigia scura scura. Allora quelli della Buzzi Unicem ci hanno detto: “siete matti, però andate, le chiavi della cava le ha il maresciallo dei Carabinieri di Calestano. Prendete 3 o 4 camionate ma andateci la mattina presto, che adesso cavare non si può …”
E con quelle pietre, spaccate a mazza a Castrignano, abbiamo ricostruito i muri portanti in pietra, sino ai tetti … senza smontarli del tutto, solo puntellandoli dal basso. Il Dottore si è ammalato del demone dell’edilizia e stava sempre in cantiere, non andava più a lavorare … guardava e guardava tutto il giorno, vestito da ufficio con la cravatta, in cantiere. Poi Gioacchino e il dottore hanno litigato. Gioacchino era siciliano e non capiva tanto ma il suo geometra gli spiegava con pazienza “guarda Gioacchino, attento … devi fare così …”. Andato Gioacchino è arrivato Marcello … mezzo italiano e mezzo albanese. Con le sue orecchie attaccate al collo, brutto, orribile. Con la moglie a Fornovo e la morosa ad Avellino … diceva lui … ed il figlio “che adesso fa il Rondani ma quest’altr’anno si iscrive a Bologna ad astrofica” … (astrofisica). Ed io che avevo fatto il progetto con i criteri del restauro scientifico …, 50 tavole in scala 1:5 e Marcello che guardava le pietre, le girava e mi diceva: “emmò cheffamo?”. Con le mani e la pazienza le pietre sono andate tutte al loro posto, gli impianti sono stati realizzati ed anche i serramenti del fabbro che sono in ferro arrugginito, come facevano una volta gli architetti. Il fabbro si è divertito e ha realizzato una scala a sbalzo legata alla vetrata, con i gradini in lamiera forata e piegata che è una meraviglia. Il fabbro diceva sempre “si un quelinen” … e aveva una moglie con la barba che era più fabbro di lui e spostava le putrelle di ferro da sola con le mani nude. I materiali utilizzati sono tutti di recupero, smontati da altri edifici vecchi o trovati in giro. Le piastrelle, i pavimenti in laterizio vecchio. Il levigatore ha fatto un prezzo pazzesco. E poi, di nascosto al bar, voleva darmi 500 mila lire in nero perché al direttore dei lavori doveva andare bene il suo lavoro un po’ grossolano. Non li ho presi … ma ho sempre avuto il dubbio di aver fatto male. Tutti i legni sia vecchi che nuovi sono stati restaurati. I solai sono in legno e sono leggeri. Suonano quando li calpesti. Prima di fare i pavimenti in cotto sembrava che crollassero. I pavimenti però ci vogliono perché sotto nascondono mille tubi. Gli impianti sono fondamentali per vivere una casa. Anche se ha 10 camini.
Alla fine dei lavori entravi al piano terra e al piano terzo uscivi ancora al livello terra, nel giardino superiore. Lì fuori, in alto, scavando la fogna abbiamo trovato tre recipienti di ceramica graffita e due di maiolica azzurra quasi interi. L’archeologa li ha scavati e poi ricostruiti. Rifacendo il muro di sostegno esterno abbiamo pensato di “aggrappargli” una piscina di forma penatagonale, in pietra, senza parapetto. Così il Dottore avrebbe potuto contemplare il paesaggio dall’alto della sua casa, mentre faceva bagni ed aperitivi con bellissime ragazze dell’est.
Per sostenere i terreni del pendio ripidissimo sono venuti dei boscaioli da Casina di Reggio Emilia ed hanno realizzato tutte le palificate in tronchi di castagno, un lavoro bellissimo.
Il pavimento del cortile l’abbiamo fatto con una ricetta antica di cocciopesto e calce. Siamo andati a comprare due camion di cocci di mattoni da Giavarini, la fornace, a San Secondo e poi li abbiamo setacciati a mano in cantiere. Poi impastando tutto, abbiamo tirato un tappeto di colore rosso scuro, sotto la pietra, con i cordoli in legno … lì vicino è cresciuta l’erba con i fiori ed era uno spettacolo. Ma l’impasto, con il caldo ed il freddo e la neve, si è sciolto ed è colato sino in piazza davanti alla fontana. Per tre anni c’è stata una riga rossa da casa del Dottore alla piazza … così era più facile, per chi arrivava a Castrignano, trovare casa sua.
Dietro la casa abbiamo realizzato una scala in pietroni enormi infissi nel suolo che gira ad elica sino a raggiungere il livello più alto del giardino. Al Comune di Langhirano c’era un tecnico, il geometra più riverito e potente di tutta la provincia, che ci teneva moltissimo alla casa perché ha i parenti lì vicino, ma noi non lo sapevamo. Quando ha visto il progetto di restauro ci ha fatto i complimenti in commissione edilizia. Poi si è arrabbiato perché nella realizzazione c’erano alcune differenze con il progetto ed allora ci ha fatto penare un anno di punizione in ginocchio sulle noci. Ha fatto bene, ci siamo rimessi in riga ed alla fine dei lavori la casa era bellissima. Davvero bellissima.